24.11.07

 

Roma, 24 novembre: 150.000 donne in piazza contro la violenza maschile




Un enorme spettro si aggira per le strade di Roma...

Le donne Rom (una quarantina) hanno aperto il corteo. Dietro lo striscione «La violenza degli uomini contro le donne comincia in famiglia e non ha confini» oltre 400 associazioni femminili, femministe e lesbiche, centri antiviolenza, donne dei movimenti, donne singole. Altri striscioni, cartelli e slogan: "L'assassino non bussa, ha le chiavi di casa", "Contro la violenza del maschile, autonomia femminile"; "Libere di agire, capaci di reagire"; "Donne, se ci ama da morire, preoccupiamoci"; "Violenza familiare, violenza patriarcale"; "Se la violenza è sotto il tetto che ce faccio cò sto pacchetto" (con la variante: "Se la violenza è in casa mia, che ci faccio con più polizia?") ; "Violenza familiare, basta sopportare"; "Lo stupratore non è malato, è figlio sano del patriarcato"; "Famiglia assassina"; "Ne uccide più l'amore che il tumore"; "Fuori i fascisti da questo corteo"; "La violenza contro le donne non dipende dal passaporto, la fanno gli uomini"; "Giù le mani dalle donne!"; e così via, passando dagli slogan lesbo fino allo striscione "Trasformare la paura in rabbia, la rabbia in forza e la forza in lotta".

E ancora: «Contro la violenza dei padroni, 10 100 1000 masturbazioni»; «La libertà di scelta non è un'utopia, donne in lotta per l'autonomia»; «Dentro le case non ritorneremo, sempre più furiose in piazza scenderemo»; «Per ogni donna stuprata e offesa, siam tutte parte lesa»; «Maschi stupratori uscite fuori adesso, ve lo facciamo noi un bel processo»; «Compagno maschilista sei il primo della lista»; «La vostra violenza è solo impotenza, la nostra cultura vi fa paura»; «La violenza sulle donne non ha colore, né religione, né cultura ma solo un sesso».



Il corteo si è snodato per via Einaudi, piazza dei Cinquecento, via Cavour, largo Ricci, via dei Fori imperiali, piazza Venezia, via delle Botteghe oscure, largo di Torre Argentina, corso Vittorio Emanuele, via della Cuccagna, piazza Navona. Qui, le donne dell'Ugl che la occupavano sono state sloggiate, e il corteo si è concluso cacciando dal palco le parlamentari che si stavano pavoneggiando davanti alle telecamere.

La manifestazione, organizzata molto in sordina, quasi ignorata fino a due-tre giorni fa, è stata messa in piedi da un gruppo di collettivi femministi di Roma tra cui Amatrix, Libellule, Feramenta, Associazione femminista via dei Volsci, a cui sicuramente non fa difetto la rabbia e le idee chiare. "L'idea della manifestazione è stata nostra" spiega Amelia, "non vogliamo cappelli politici anche perché delle scelte di questa politica non condividiamo quasi nulla. E non vogliamo uomini, abbiamo fatto una scelta sessista e separatista perché in questo modo si capisca che il problema in Italia è di tipo culturale e serve scardinare la società di tipo patriarcale...". Il tanto vituperato, da destra e soprattutto da sinistra, separatismo(1) è stato l'impronta di tutta la manifestazione: le compagne che non erano d'accordo si sono accodate, essendo in netta minoranza, in fondo al corteo(2).

Cacciate assieme agli uomini, alcune anche in malo modo, le (poco) onorevoli deputatesse e senatrici del marciume parlamentare, presentatesi come "rappresentanti" politiche delle donne: Giulia Buongiorno, Mara Carfagna, Giovanna Melandri, Alessandra Mussolini, Barbara Pollastrini, Stefania Prestigiacomo, Livia Turco(3).

Due, pertanto, le note caratteristiche della stupenda manifestazione di Roma, che hanno subito messo in allarme tutte le forze politiche filo-sistema:
- 1°) l'affermazione dell'autonomia femminile, primo passo per l'auto-organizzazione e l'auto-difesa contro ogni forma di violenza, maschile, governativa e statale;
- 2°) la sua netta caratterizzazione anti-parlamentare e anti-sistema.

In quasi tutte le città italiane sono stati organizzati dalle stesse donne treni e pullman: da Milano a Bari, da Cagliari a Bologna, da Genova a Salerno, Torino e Gorizia, da Potenza a Palermo. Moltissimi i boicottaggi, istituzionali e personali, soprattutto di mariti, fidanzati, padri ecc.

- Voci dal corteo
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(1) La partecipazione degli uomini alla manifestazione di sabato, così specifica, così sofferta, sarebbe stata l'ennesima riaffermazione della violenza maschile sulle donne, sotto forma dell' onnipresenza dell'uomo.

(2) Queste compagne non hanno capito che in occasione di un corteo di donne contro la violenza maschile, la cosa migliore che potevano fare gli uomini era di stare a casa a curare i figli e/o gli animali domestici, fare le pulizie e la spesa, e preparare da mangiare per il ritorno delle guerriere!

(3) La critica più subdola che è stata mossa alle manifestanti per la estromissione delle parlamentari, è che - così facendo - perdevano l'occasione di avere una sponda in parlamento per l'approvazione accelerata delle leggi in cantiere "a protezione delle donne". In realtà, le manifestanti, col loro comportamento ostile, hanno pubblicizzato la natura radicale, anti-parlamentare e anti-sistema, della mobilitazione. Nessun striscione, nessun cartello, nessuno slogan chiedeva "leggi a favore delle donne"! Siamo di fronte ad un passo avanti della lotta politica rivoluzionaria in Italia: chi lo capisce, bene; chi non lo capisce, se ne accorgerà tra breve...

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21.11.07

 

Violenza sulle donne. La strage delle innocenti


In dodici mesi un milione di donne ha subito violenze. Per le più giovani ancora oggi è questa la prima causa di morte.

I loro nomi, le loro storie restano come memorie, la prova di una verità odiosa, crudele: Hina accoltellata a Brescia dal padre, Vjosa uccisa dal marito a Reggio Emilia, Paola violentata a Torre del Lago, Sara colpita a morte da un amico a Torino... L'ultima è stata resa nota ieri: una ventenne originaria del Ghana, costretta ad un rapporto sessuale in pieno centro a Pordenone. (Anna Bandettini)

In Italia, negli ultimi dodici mesi, un milione di donne ha subito violenza, fisica o sessuale. Solo nei primi sei mesi del 2007 ne sono state uccise 62, 141 sono state oggetto di tentato omicidio, 1805 sono state abusate, 10.383 sono state vittime di pugni, botte, bruciature, ossa rotte. Leggevamo che le donne subiscono violenza nei luoghi di guerra, nei paesi dove c'è odio razziale, dove c'è povertà, ignoranza, non da noi. Eccola la realtà: in Italia più di 6 milioni e mezzo di donne ha subito una volta nella vita una forma di violenza fisica o sessuale, ci dicono i dati Istat e del Viminale che riportano un altro dato avvilente. Le vittime - soprattutto tra i 25 e i 40 anni - sono in numero maggiore donne laureate e diplomate, dirigenti e imprenditrici, donne che hanno pagato con un sopruso la loro emancipazione culturale, economica, la loro autonomia e libertà.

Da noi la violenza è la prima causa di morte o invalidità permanente delle donne tra i 14 e i 50 anni. Più del cancro. Più degli incidenti stradali. Una piaga sociale, come le morti sul lavoro e la mafia. Ogni giorno, da Bolzano a Catania, sette donne sono prese a botte, oppure sono oggetto di ingiurie o subiscono abusi. Il 22 per cento in più rispetto all'anno scorso, secondo l'allarme lanciato lo scorso giugno dal ministro per le Pari Opportunità, Barbara Pollastrini, firmataria di un disegno di legge, il primo in Italia specificatamente su questo reato ora all'esame in commissione Giustizia. "È un femminicidio", accusano i movimenti femminili, "violenza maschile contro le donne": così sarà anche scritto nello striscione d'apertura del corteo a Roma di sabato 24, vigilia della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne istituita dall'Onu, una manifestazione nazionale che ha trovato l'adesione di centinaia di associazioni impegnate da anni a denunciare una realtà spietata che getta un'ombra inquietante sul tessuto delle relazioni uomo-donna.

Sì, perché il pericolo per le donne è la strada, la notte, ma lo è molto di più, la normalità. Se nel consolante immaginario collettivo la violenza è quella del bruto appostato nella strada buia, le statistiche ci rimandano a una verità molto più brutale: che la violenza sta in casa, nella coppia, nella famiglia, solida o dissestata, borghese o povera, "si confonde con gli affetti, si annida là dove il potere maschile è sempre stato considerato naturale", come spiega Lea Melandri, saggista e femminista. L'indagine Istat del 2006, denuncia che il 62 per cento delle donne è maltrattata dal partner o da persona conosciuta, che diventa il 68,3 per cento nei casi di violenza sessuale, e il 69,7 per cento per lo stupro.

"Da anni ripetiamo che è la famiglia il luogo più pericoloso per le donne. È lì che subiscono violenza di ogni tipo fino a perdere la vita", denuncia "Nondasola", la Casa delle donne di Reggio Emilia a cui si era rivolta Vjosa uccisa dal marito da cui aveva deciso di separarsi. "Da noi partner e persone conosciute sono i colpevoli nel 90 per cento delle violenze che vediamo. E purtroppo c'è un aumento", dice Marisa Guarnieri presidente della Casa delle donne maltrattate di Milano. "All'interno delle mura domestiche la violenza ha spesso le forme di autentici annientamenti - spiega Marina Pasqua, avvocato, impegnata nel centro antiviolenza di Cosenza, una media di 800 telefonate di denuncia l'anno - Si comincia isolando la donna dal contesto amicale, poi proibendo l'uso del telefono, poi si passa alle minacce e così via in una escalation che non ha fine".

In Italia, l'indagine Istat ha contato 2 milioni e 77mila casi di questi comportamenti persecutori, stalking come viene chiamato dal termine inglese, uno sfinimento quotidiano che finisce per corrodere resistenza, difesa, voglia di vivere. "Nella nostra esperienza si comincia con lo stalking e si finisce con un omicidio", accusa Marisa Guarnieri. Per questo le donne dei centri antiviolenza hanno visto positivamente l'approvazione, lo scorso 14 novembre in Commissione Giustizia, del testo base sui reati di stalking e omofobia. Sanzionare penalmente lo stalking, significa, tanto per cominciare, riconoscerlo. "Molte donne vengono qui da noi malmenate o peggio e parlano di disavventura. Ragazze che dicono "me la sono cercata", donne sposate che si scusano: "lui è sempre stato nervoso"...", racconta Daniela Fantini, ginecologa del Soccorso Violenza Sessuale di Milano, nato undici anni fa per iniziativa di Alessandra Kusterman all'interno della clinica Mangiagalli di Milano.

È in posti come questo, dove mediamente arrivano cinque casi a settimana, che diventa evidente un altro dato angoscioso: come intrappolate nel loro dolore, il 96% delle donne non denuncia la violenza subita, forse per paura. Forse perché non si denuncia chi si ha amato, forse perché non si hanno le parole per dirlo. La manifestazione di sabato a Roma vuole spezzare proprio questo silenzio. "Una occasione per prendere parola nello spazio pubblico", come dice Monica Pepe del comitato "controviolenzadonne" che vorrebbe un corteo di sole donne. E Lea Melandri: "Manifestiamo per dire che la violenza non è un problema di pubblica sicurezza, né un crimine di altre culture da reprimere con rimpatri forzati, e che per vincerla va fatta un'azione a largo raggio".

Va fatta una legge, concordano tutti. "Speriamo di arrivarci in tempi brevi - promette Alfonsina Rinaldi del ministero per le Pari Opportunità - Oggi abbiamo finalmente le risorse per lanciare l'osservatorio sulla violenza e in Finanziaria ci sono 20 milioni di euro per redarre il piano antiviolenza". "Serve una legge che non cerchi scorciatoie securitarie ma punti a snidare la cultura che produce la violenza - dice Assunta Sarlo tra le fondatrici del movimento "Usciamo dal silenzio" - Una legge come quella spagnola, la prima che il governo Zapatero ha voluto perché riguarda la più brutale delle diseguaglianze causata dal fatto che gli aggressori non riconoscono alle donne autonomia, responsabilità e capacità di scelta. Ecco il salto culturale. Chiediamo che anche da noi il tema della violenza sia assunto al primo punto nell'agenda politica dei governi. Chiediamo un provvedimento che dia risorse ai centri antiviolenza e sistemi di controllo della pubblicità e dei media, cattivi maestri nel perpetuare stereotipi che impongono sulle donne il modello "fedele e sexy". E chiediamo agli uomini di starci accanto, di fare battaglia con noi". Qualcuno si è già mosso. Gli uomini dell'associazione "Maschileplurale", per esempio, che aderiscono alla manifestazione romana. "Sì, gli uomini devono farsene carico. La violenza è un problema loro, non delle donne - dice Clara Jourdan, della "Libreria delle Donne" di Milano, storico luogo del femminismo italiano - Sarebbe ora che cominciassero a interrogarsi sulla sessualità e sul perché dei loro comportamenti violenti. E riconoscere l'altro, il maschile, potrebbe essere utile anche alle donne". Nel caso, a fuggire per tempo.

(Repubblica.it, 21 novembre 2007)

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20.11.07

 

300€ per 8 ore di lavoro al giorno!


Per queste cifre 8 donne lavoravano in un calzaturificio-fantasma di Barletta (una di loro ha 15 anni). Stesse violazioni a Canosa (Bari). La Gdf denuncia i due titolari.

Lavoravano in ambienti privi delle essenziali misure di igiene e sicurezza previste dalla legge, senza essere assunte, per 8 ore al giorno, con una pausa di 15 minuti, percependo uno stipendio mensile che oscillava dai 300 ai 450 euro.

Per queste cifre otto donne lavoravano in un calzaturificio-fantasma di Barletta: una di loro ha solo 15 anni. Altre sette donne lavoravano invece in un laboratorio tessile di Canosa di Puglia: anche qui una delle lavoratrici è minorenne.I due laboratori sono stati scoperti dalla guardia di finanza: i titolari delle due aziende, del tutto sconosciute al fisco, sono stati denunciati per impiego di manodopera minorile, violazioni delle leggi in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, igiene e prevenzione incendi, oltre che per evasione fiscale.

(La Gazzetta del Mezzogiorno, 19/11/2007)

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Se 1.000 euro vi sembran poche...


Cgil, 7,3 mln lavoratori sotto 1000 euro. Rapporto Ires, di questi 5 milioni sono donne

Per 7,3 milioni di lavoratori dipendenti in Italia la busta paga non arriva a mille euro netti al mese. E' quanto emerge dal rapporto Ires sui salari presentato oggi in Cgil secondo il quale 5 milioni di questi lavoratori con busta paga leggera sono donne. Se si considera il tetto di 1.300 euro sono invece 14 milioni i lavoratori dipendenti che non riescono a sorpassarlo.

(Ansa, 19/11/07)

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Sei donne su dieci a casa; una su quattro precaria


Quando avremo un "pacchetto sicurezza" per le donne?

Circa la metà dei 425mila nuovi posti è a termine. Il lavoro reale delude per precarietà e scarse retribuzioni e si aggrava il divario uomini-donne, Nord-Sud. I risultati del Rapporto 2007 presentato questa mattina a Roma. (Adnkronos/Labitalia)

Nel 2006, gli occupati in Italia hanno sfiorato quota 23 milioni, un record storico sia in termini assoluti sia in termini di percentuale di crescita annuale (+2%). Il tasso di disoccupazione, poi, si è contratto al 6%, con una contestuale forte riduzione (tre volte quella registrata nel 2005) dei disoccupati di lunga durata. Una tendenza positiva che dovrebbe ripetersi anche nel 2007, grazie però alla diffusione del lavoro a tempo determinato: circa la metà dei 425mila nuovi posti di lavoro del 2006, infatti, è a termine (+9,7% rispetto al 2005).

In questo scenario, permane un profondo dualismo nel divario territoriale Nord-Sud, una persistente difficoltà all'inserimento nel mondo del lavoro per donne e per over 55, mentre aumenta lo scontento e i lavori reali si allontanano sempre di più dalle aspettative delle persone, a causa della precarietà, delle esigue retribuzioni e delle scarse possibilità di carriera. E' quanto emerge dal Rapporto Isfol 2007, presentato questa mattina a Roma dal presidente dell'Istituto, Sergio Trevisanato. Dopo il biennio 2004-2005, infatti, in cui la crescita dell'occupazione era in buona parte ascrivibile alla regolarizzazione di un numero ingente di lavoratori immigrati, l'aumento registrato tra il 2005 e il 2006, dice l'Isfol, assume caratteri 'strutturali', ''inaugurando - si legge nel documento - una fase nuova''. E le novità non sono solo ''in una sostenuta ripresa del ciclo economico'', ma soprattutto nella ''più elevata velocità di reazione della domanda di lavoro al ciclo stesso, lasciando intravedere una progressiva erosione di alcuni elementi di rigidità del mercato del lavoro italiano''. Sotto il profilo settoriale, è ai servizi che si deve quasi interamente la crescita occupazionale del 2006, mentre dal punto di vista territoriale si profila una ripresa del Mezzogiorno (+1,6%), dopo la serie negativa avviata nel 2003.

Tra le forme di lavoro, dunque, prosegue la crescita del lavoro dipendente a termine, aumentato nel 2006 di circa 200mila unità e pari a quasi la metà (49,4%) dell'intero incremento occupazionale del 2006, con un sensibile aumento rispetto all'anno precedente (45,8%). E l'Isfol ammette che nell'occupazione dipendente ''la componente permanente perde progressivamente peso al ritmo di un punto percentuale a biennio''. Il lavoro a termine è generalmente diffuso tra i giovani, quale principale strumento di ingresso nel mercato del lavoro, e le donne, che presentano un'incidenza dell'occupazione a tempo determinato sul totale dell'occupazione dipendente pari al 15,8%, a fronte dell'11,2% della componente maschile. Inoltre, negli ultimi anni si è registrata una flessione delle trasformazioni di contratti a termine in occupazione stabile e una parallela diminuzione della durata media dei rapporti di lavoro. Consistente anche la quota di occupati in età centrale che permane nella tipologia del tempo determinato. Tra le altre forme di lavoro non standard, si registra un aumento pari al 7,2% dei contratti di collaborazione a progetto e del 15,5% delle prestazioni autonome occasionali. Complessivamente, le forme di lavoro parasubordinato, che hanno raggiunto secondo le stime Istat il livello di circa 500mila unità, rappresentano poco meno del 10% dell'incremento dell'occupazione del 2006; gli incrementi più consistenti si sono registrati nella fascia di età inferiore ai 35 anni (+10,9%), dove è concentrata oltre la metà dei rapporti di lavoro parasubordinato, e nel Mezzogiorno (+16,3%).

Quanto al tasso di occupazione femminile, nel 2006 si attesta al 46,3% contro il 70,7% maschile: un livello ancora molto distante dall'obiettivo fissato a Lisbona (raggiungimento del 60% di occupate entro il 2010). Non solo. La scarsa partecipazione delle donne alla vita lavorativa italiana ha già ampiamente disatteso anche l'obiettivo di medio termine, che proponeva di raggiungere il 57% di occupate per il 2005. Non va meglio con la qualità dei lavori che le donne trovano: una donna su 4 è precaria e nel 2006 solo il 36,7% delle nuove occupate è stato assunto con un contratto di lavoro a tempo indeterminato (contro il 41,4% del 2005), mentre aumentano gli accessi al lavoro mediante contratti a termine, ottenuti dal 36,2% delle neo-lavoratrici nel 2006 contro il 33% di un anno prima. La maternità continua poi a essere ancora un forte ostacolo al naturale proseguimento della carriera lavorativa: nel 2006, ben una donna su nove è uscita dal mercato del lavoro dopo aver fatto un figlio, per l'impossibilità di conciliare lavoro e cura dei familiari.

Infine, quasi 10 milioni di donne in eta' lavorativa non lavorano ne' cercano un impiego (gli uomini in tale condizione sono circa la meta'). Dulcis in fundo: i differenziali salariali di genere, su base annua, sono del 25 per cento.

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19.11.07

 

Violenza sessuale: più vittime tra giovani, laureate e donne del Centro-Nord


Donne laureate, che ricoprono posizioni lavorative elevate, come imprenditrici o dirigenti, giovani tra i 25 e i 34 anni, in maggioranza divorziate o separate, del centro-nord: è l'identikit di molte delle vittime di violenze, fisiche o sessuali, tracciato da una ricerca dell'Università 'Lumsa' di Roma sulla base di dati Istat e presentata questa mattina al convegno 'La violenza in ambito familiare. Tessuto sociale e violenza in famiglia: che fare?', organizzato presso l'ospedale San Giovanni Addolorata, al quale hanno partecipato i ministri Barbara Pollastrini (Pari opportunità) e Rosy Bindi (Famiglia).

Subisce violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita il 63,9% delle donne divorziate o separate contro il 38,5% delle nubili, il 26,6% delle coniugate e il 24,5% delle vedove. In base ai titoli di studio, il 46,2% delle vittime è laureata, il 38,6% è diplomata, il 28,9% possiede la licenza media e il 17,6% ha solo il titolo elementare. Quanto alla condizione professionale, in testa nella triste classifica figurano imprenditrici e dirigenti con il 50,5%, seguite dalle impiegate con il 40,6%, dalle studentesse con il 36,4%, dalle operaie con il 30,9%, dalle casalinghe con il 22,4%.

La fascia d'età più colpita è quella tra i 25 e i 34 anni (37,9%), mentre la ripartizione geografica vede vittima di violenza sessuale nel corso della sua vita il 35,9% di chi abita nel Centro Italia, il 35,5% nel Nord-Est, il 34,5% nel Nord-Ovest, il 26,6% nel Sud e il 24,3% nelle Isole.

Nel quinquennio 2000-2005 ci sono stati oltre 4mila casi di omicidi in famiglia, mentre in media in Italia muore una persona ogni due giorni in seguito a violenze che portano ad omicidi.

(Apcom, 14.11.07)

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Usa: nel 2006, 35 milioni di affamati


Pari al 12% popolazione, soprattutto ragazze madri e bambini

(ANSA) - NEW YORK, 15 NOV - In America nel 2006 oltre 35 milioni di persone, pari a piu' di un americano su dieci, ha in qualche momento dell'anno sofferto la fame. Lo rende noto un nuovo rapporto del Dipartimento all'Agricoltura: la categoria di persone piu' vulnerabili alle carenze alimentari sono state le ragazze madri e i loro bambini.

I 35,5 milioni di americani alla fame rappresentano il 12,1 per cento del totale della popolazione. Nel 2005 gli americani alla fame erano stati 400 mila in meno rispetto al 2006. 15 Nov 16:36

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5.11.07

 

Protesta di donne in Campidoglio


Sono salite sulla scalinata del Campidoglio e hanno srotolato e affisso due striscioni con su scritto «La violenza contro le donne non dipende dal passaporto, la fanno gli uomini» e «No sessismo, no razzismo».

Erano una quarantina le donne che ieri a Roma hanno manifestato la propria rabbia per questa «strumentalizzazione a fini politici del dramma di donne che vengono stuprate e in molti casi uccise». Perché la morte di Giovanna Reggiani non sia usata per disegni politici già decisi da tempo.

Erano donne di vari collettivi femministi di Roma (il Buon Pastore, via dei Volsci, le Ribellule e Sinistra critica) che stanno preparando dentro il cartello controviolenzadonne.org la manifestazione nazionale del 24 novembre prossimo. Ma lo striscione non è rimasto esposto a lungo perché sono subito intervenuti vigili urbani e polizia che hanno rimosso gli striscioni.
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Un decreto senza le donne

Le disposizioni straordinarie varate dal Consiglio dei ministri martedì sera non centra il punto: la violenza maschile. «La campagna anti rumeni è solo strumentale». L'accusa delle donne che preparano la manifestazione nazionale a Roma il 24 novembre. (Eleonora Martini)

Altre due donne picchiate e violentate a Cagliari e a Jesi, nel primo caso da italiani doc nel secondo da un immigrato. Tre ragazzi gay finiti in ospedale la notte di Halloween per l'aggressione subita da un gruppo di uomini italiani nei pressi della stazione Termini a Roma. Episodi avvenuti nelle ultime ore molto diversi tra loro (sul caso invece della ragazza inglese uccisa a Perugia si sa ancora troppo poco) ma che raccontano, tenuto conto delle relative specificità e differenze, di una violenza maschile che si nutre e affonda le sue radici in una cultura sessista, omofoba e patriarcale di cui non riusciamo a liberarci. E che traspare perfino dai cartelloni pubblicitari, come notò qualche tempo fa il Financial Times. Eppure questa è cronaca troppo spesso silenziosa e senza conseguenti colpi di reni da parte della politica. Nel decreto legge varato d'urgenza nel consiglio straordinario dei ministri di martedì sera non si troveranno norme che possano evitare il ripetersi di questi crimini contro il corpo simbolicamente più debole.

Il decreto votato all'unanimità che stralcia e corregge una parte del pacchetto sicurezza prevede la possibilità di emettere da parte del prefetto competente un provvedimento di allontanamento dal suolo nazionale che non superi i tre anni per «motivi di sicurezza dello Stato e per motivi imperativi di pubblica sicurezza», come dice il testo. «Sono imperativi quando il cittadino dell'Ue o un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, abbia tenuto comportamenti che compromettono la tutela della dignità umana o dei diritti fondamentali della persona umana ovvero l'incolumità pubblica, rendendo la sua permanenza sul territorio nazionale incompatibile con l'ordinaria convivenza». Va detto che il cittadino Ue o il suo familiare possono però fare ricorso. È molto difficile però riuscire a capire come si riconosca un cittadino predisposto alla violenza fisica e sessuale contro le donne. Perché è di questo che si sta parlando nell'omicidio di Giovanna Reggiani e, come hanno detto con grande lucidità anche i suoi familiari, «poteva accadere anche con un italiano».

Ne sono certe le donne che stanno preparando la manifestazione nazionale del 24 novembre prossimo a Roma nata da un appello lanciato in internet mesi fa, totalmente autorganizzata, e che raccoglie moltissime adesioni di singole, associazioni e collettivi. Una mobilitazione che sembra caratterizzata da un inusuale protagonismo della generazione delle trentenni ma che pure si basa sull'assioma che la violenza maschile è uguale in tutto il mondo e non conosce differenze etniche, nazionali, religiose o culturali. Dove con culturali si intende il grado di istruzione personale degli uomini. «Se è vero che nessuna donna è al sicuro sotto nessun cielo perché la violenza maschile è trasversale non solo al ceto sociale ma anche alle religioni e alle tradizioni - spiega meglio Assunta Sarlo dell'associazione Usciamo dal silenzio di Milano - è anche vero che si può riconoscere una specifica che sta nei traguardi raggiunti dalla libertà femminile nei vari contesti sociali. L'aumentata libertà delle donne, come c'è nei paesi occidentali, determina un colpo di coda forte all'aggressività maschile. Si vede bene nella violenza familiare: non a caso le donne vengono picchiate e uccise quando tentano di liberarsi». «Il 75% degli stupri avviene in famiglia ed è fatta da uomini italiani - sottolinea Flavia D'Angeli di Sinistra critica - il silenzio dei nostri politici su questo e la loro speculazione sul corpo delle donne è vergognoso».

Forse è troppo chiedere di riconoscere in una legge, come è successo in Spagna, la violenza di genere come la più brutale delle diseguaglianze perché agita contro le donne proprio per il fatto di essere tali. Certo è che se il decreto legge avesse introdotto misure straordinarie e urgenti contro la violenza sulle donne, magari sarebbe stato criticato lo stesso ma perlomeno avrebbe centrato il punto.

(il manifesto, 3.11.07)

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"La donna, merce come un'altra"


L'antropologo francese Marc Augé: «La prostituzione svela il vero volto dell'utilitarismo capitalista. E l'attuale tratta è figlia della globalizzazione economica» (Simone Verde)

«Nella prostituzione si rivela il vero volto dell'utilitarismo capitalista». Così Marc Augé, antropologo francese, autore della formula «non-luogo» che tanto successo ha avuto nel rappresentare e chiarire alcune dinamiche delle società contemporanee.

Interrogato sulle forme di sfruttamento che oggi coinvolgono 500mila vittime in tutt'Europa, oltre 30.000 in Italia, lancia la sua accusa: «Il traffico di schiavi dal terzo mondo è il prodotto delle nostre società. È alimentato da bisogni consustanziali con l'attuale sistema economico in cui tutto, anche gli esseri umani, è ridotto ormai a merce».

Perché dopo anni di diminuzione, nell'ultimo quindicennio il numero di prostitute è aumentato in maniera esponenziale?

Si tratta di uno dei risvolti negativi di una globalizzazione in cui tutto diventa oggetto di commercio. Anche la vita umana. È un fenomeno che avviene in entrambi i sensi: attraverso l'importazione di schiave da vendere sui bordi delle strade, ma anche grazie al turismo sessuale in paesi dove la povertà è così elevata da costringere molti ad alienare il proprio corpo. Un fenomeno che si è sviluppato proprio in concomitanza con l'allargamento delle economie nazionali e dei mercati. La prostituzione come negativo del nostro sistema economico e sociale, quindi?La prostituzione è un fenomeno estremo e proprio per questo permette di riconoscere con più facilità le strutture sociali dominanti. Nel caso dell'Europa di oggi, ci restituisce in maniera particolarmente esplicita e chiara la cultura prettamente utilitarista e commerciale del capitalismo. Una cultura in cui tutto, persino l'esistenza individuale, diventa strumento consumistico di soddisfazione. Una cultura in cui viene teorizzata la libera circolazione delle merci, e che obbliga così le persone che vogliono arrivare in Occidente a trasformarsi in beni di consumo.

Eppure le nostre sono società in cui esiste una relativa libertà sessuale.

È vero, ma l'illusione di un rivolgimento antropologico nutrita negli anni Sessanta era appunto un'illusione. Scomparsa la prospettiva di una completa parità uomo-donna, per esempio, certi modelli ancestrali sono riemersi in tutto il loro radicamento. Ragione per cui molti clienti sostengono di andare a prostitute poiché su di loro possono fare cose che non possono fare più con le mogli. Con la differenza che oggi quelle pulsioni ancestrali assumono caratteristiche tipiche del nostro tempo e si esprimono in rapporti modellati sul sistema in cui viviamo. La cultura consumista, ad esempio, incoraggia la prostituzione, riempiendo il nostro quotidiano di numerosissime immagini erotiche con lo scopo di creare nuovi bisogni, nuove esigenze e nuove fette di mercato.

In un recente studio francese emerge un altissimo tasso di violenza dei clienti sulle prostitute.

Si tratta di un fenomeno molto complesso, in cui entrano in gioco i classici meccanismi di dominazione della natura maschile. Nel caso specifico, il fatto che queste donne non siano prostitute ma vere e proprie schiave, persone che non hanno scelto di svolgere questa attività ma a cui viene imposta con la forza, le rende ancora più attraenti per un certo sadismo che si nutre dell'immagine del bianco dominatore che maltratta la donna, essere più debole e per di più appartenente a popolazioni considerate inferiori. Questo è lo schema, alimentato e diffuso dai mezzi di comunicazione e dalla natura commerciale dell'attuale capitalismo. Ragione per cui oggi le prostitute non sono più esseri umani, ma oggetti di cui servirsi e da buttare via una volta che sono state utilizzate.

Come analizza la diffusione del fenomeno al di fuori dei grandi centri abitati, in campagna e nei centri di provincia?

È un'ulteriore prova di quella globalizzazione che consiste nel piegare il territorio alle esigenze del consumo. Un fenomeno che coincide nella scomparsa sempre più netta della distinzione tra città e campagna. Per rendersene conto basta viaggiare: non esistono ormai più oasi o rotture nello sfruttamento del territorio. Le prostitute-schiave non fanno eccezione, sono disponibili ovunque.

(il manifesto, 3.11.07)

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2.11.07

 

In piazza contro la violenza di genere


Che il maggior numero di violenze fisiche e sessuali contro le donne avvenga nell'ambito familiare ormai è noto, almeno ai lettori di questo giornale. Come è noto che quelle che vengono denunciate sono solo la punta piccolissima di un iceberg. Quello che forse non è stato ancora raccontato abbastanza è che anche le violenze sessuali e le aggressioni subite in strada vengono raramente denunciate perché le donne spesso sono le prime a non avere rispetto per se stesse e a interiorizzare un contesto culturale e sociale che le vuole vittime per destino. Le donne insomma non sono al sicuro mai. Né dentro le mura domestiche né tanto meno in strada. (Eleonora Martini)

Ma allora, insieme al lavoro culturale e visto che si parla di sicurezza urbana, c'è qualcosa che si potrebbe fare per rendere le città più sicure per le donne? I dati parlano da sé e fanno onestamente paura, come ha denunciato recentemente anche la stessa ministra delle pari opportunità Barbara Pollastrini. E raccontano di un mondo dove sempre più «la violenza maschile non conosce differenze di classe, di etnia, di cultura, di religione o di appartenenza politica», come scrivono nel manifesto di convocazione le associazioni che hanno indetto per sabato 24 novembre una manifestazione nazionale a Roma, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Un'iniziativa costruita a partire dall'assemblea pubblica che si è tenuta nella capitale il 21 ottobre scorso presso la Casa internazionale delle donne, scaturita dall'incontro di singole cittadine e organizzazioni femminili, femministe e lesbiche provenienti da tutta Italia. Il problema è culturale(1) e non può essere affrontato solo da un punto di vista securitario, dicono le associazioni di donne, le operatrici dei centri antiviolenza e molte esponenti del variegato mondo del femminismo italiano. Meno che mai «può essere ricondotto a un problema di sicurezza delle città o di ordine pubblico», come c'è scritto nell'appello diffuso dal sito http://www.controviolenzadonne.org/. L'aggressività maschile, aggiungono, «è la prima causa di morte e di invalidità per le donne di tutto il mondo, come riconosciuto dall'Onu».

Ma è così vero che l'aggressività maschile nei confronti delle donne non conosce differenze culturali? Dirlo non è fare un po' torto al lavoro e alle lotte di quasi quaranta anni di storia femminista? «Fino a che non cambierà la cultura di questo paese non ci sarà nessuna città sicura per le donne - risponde Assunta Sarlo, esponente di primo piano del movimento Usciamo dal silenzio, tra i promotori della manifestazione - Poi è ovvio che in ambito locale ci sono politiche che rendono più sicure le città e altre che sono totalmente inutili. Sono inutili per esempio le telecamere a ogni angolo o la militarizzazione del territorio, mentre è assolutamente necessario riempire e vivacizzare le strade e non svuotarle».

Dare un'occhiata alle statistiche può essere d'aiuto a capire la situazione: in Italia una donna su tre subisce violenza fisica e sessuale, soprattutto tra le mura di casa, secondo il Centro soccorso di Milano. Oltre 14 milioni di donne italiane hanno subito abusi nella loro vita, si stima possano essere circa il 65% della popolazione femminile. Un milione e 400 mila donne hanno patito uno stupro prima dei 16 anni. Ma il 96% delle violenze non vengono denunciate. Il 14,3% delle donne ha subito almeno una volta violenza fisica o sessuale dal partner, attuale o ex, mentre il 24,7% le ha ricevute da un altro uomo. Ma, secondo dati Istat, solo il 18,2% delle donne considera la violenza patita in famiglia un «reato», mentre il 44% la giudica semplicemente «qualcosa di sbagliato» e ben il 36% solo «qualcosa che è accaduto».

«La violenza sulle donne è una piaga sociale e non un problema individuale e deve trasformarsi in qualcosa di negativo, mentre oggi non è così - dice Daniela Fantini, da 12 anni ginecologa al Soccorso violenza sessuale di Milano - ce n'è tanta in famiglia ma anche in strada e poche denunciano perché manca il rispetto di sé, perché la considerazione che la donna valga zero è purtroppo molto diffusa». Ma è anche ovvio che sia più diffusa laddove non c'è stato abbastanza lavoro culturale da parte delle donne o dove c'è una violazione sistematica dei diritti umani. «Il maggior numero di violenze avvengono all'interno dei gruppi di immigrati rumeni, albanesi, sudamericani e africani», aggiunge la dottoressa Fantini che racconta episodi che hanno dell'incredibile: «Spesso ci raccontano di uomini che dopo aver violentato una donna, magari fuori di una discoteca, le offrono il loro bigliettino da visita. Lo stupro, insomma, non è considerato una cosa sbagliata. Bisogna ribaltare questa concezione e dire che la violenza non è un destino e per gli uomini non è un obbligo». «Non so cosa serve a rendere una città più sicura - conclude Fantini - ma di certo non serve riempirla di poliziotti, perché elimina solo questi epifenomeni di cui vengono poi riempite le cronache. Il lavoro sul rispetto è più lungo ma è l'unico che paga davvero».

(il manifesto, 1.11.07)
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(1) E' il limite della manifestazione. La violenza di genere non è solo un problema "culturale", ma soprattutto politico-sociale. Tuttavia, è un primo passo mobilitativo [N.d.R.].

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"La donna libera dall’uomo, tutti e due liberi dal Capitale"

(Camilla Ravera - L’Ordine Nuovo, 1921)

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