26.4.08

 

Italia agli ultimi posti per fertilità con 1,29 figli per donna


Forte incremento dei nati stranieri: dall'1,7% del '95 all'11,4% del 2007. Italia, saldo demografico in attivo un bimbo su 10 è figlio di immigrati. L'esperto: "La legge 40 sulla procreazione assistita non ha migliorato la situazione. In soli 4 anni dall'entrata in vigore, le nascite sono diminuite del 2,78%". Italia, saldo demografico in attivo un bimbo su 10 è figlio di immigrati"

Le italiane fanno sempre meno figli, ma il bilancio demografico nazionale è in positivo, per l'alto tasso di natalità dei cittadini stranieri. E', infatti, figlio di immigrati un bambino su dieci, mentre gli stranieri rappresentano il 5 per cento della popolazione italiana. E' quanto emerge da uno studio del Centro Artes di Torino, specializzato nella diagnosi e nel trattamento della sterilità di coppia, che ha elaborato i dati ufficiali di Istat, Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) e le stime 2007 Cia (C.I.A. World Factbook). Le più recenti statistiche collocano il nostro Paese agli ultimi posti per tasso di fertilità, con un valore per il 2007 pari a 1,29 figli per donna. Un fenomeno comune a quasi tutti i paesi industrializzati, ma nessuno ha avuto un'evoluzione così marcata come in Italia. Il tasso di fertilità nei 15 paesi dell'Unione Europea fra il 1960 e il 2007 è sceso da 2,59 a 1,50 figli per donna, mentre in Italia si è quasi dimezzato (dal 2,41 all'1,29). "Il calo delle nascite in Italia è un dato evidente - spiega Alessandro Di Gregorio, Direttore del Centro Artes di Torino - Complice anche un'evoluzione della società che ha spostato in avanti, circa 35 anni, l'età media delle donne che scelgono di diventare madri. Le difficoltà a rimanere incinta, quindi, aumentano e l'introduzione della Legge 40 (sulla procreazione assistita ndr), non ha migliorato la situazione. In soli 4 anni, dall'entrata in vigore, le nascite sono diminuite del 2,78%. Per non parlare delle altre gravi conseguenze: è quadruplicato il numero delle coppie che, con la speranza di concepire un figlio, si sono recate all'estero (+200) e le gravidanze multiple sono passate da un 16% ad un 23%, con conseguenti rischi per la salute dei feti, che possono portare alla morte neonatale per prematurità". Cala, quindi, il numero di nascite in Italia (519.731 nel 2004 e 505.202 nel 2007, ben 14.528 nati in meno) mentre quello dei nati stranieri registra un fortissimo incremento (da 48.925 nel 2004 a 57.925 nel 2007 con un saldo di +8.840 nati). Inoltre, il ritmo di crescita medio annuale degli stranieri, secondo le stime Caritas-Migrantes, è pari a circa 325 mila, il che porta ad ipotizzare più che un raddoppio della popolazione immigrata da qui a 10 anni: tenuto conto che la velocità di crescita della popolazione straniera non sembra tendere a diminuire nel 2050 gli extracomunitari rappresenteranno dal 17 al 20% della popolazione residente.

La popolazione italiana, a gennaio del 2007 è pari a 59.157.091 persone (dati Istat). Gli immigrati regolari in Italia sono quindi quasi il 5% della popolazione. L'incidenza delle nascite di bambini stranieri sul totale della popolazione italiana è passata da poco più di 9mila (1,7%) nel 1995 all'11,4% del 2007. "Il calo della fertilità italiana è un dato preoccupante - continua Di Gregorio - per questo motivo, insieme a molti altri ginecologi che condividono il mio pensiero, chiedo al nuovo Governo di intervenire in maniera chiara e decisiva una volta per tutte sulla Legge 40, che blocca di fatto lo sviluppo della medicina ed impedisce alle coppie che trovano difficoltà nel concepimento di sognare, di sperare ancora. Una legge che ci riporta al Medioevo". In Italia, secondo i dati Istat del 2005, il tasso di fertilità è assai più elevato in Trentino Alto Adige (1,54 nel 2005) rispetto alla media nazionale. Il dato del Veneto (1,35) invece, è di poco superiore ad essa, mentre il Friuli Venezia Giulia, che per diversi anni si è attestato addirittura su un valore inferiore ad 1, rimane sempre la regione con il tasso di fertilità più basso (1,23 nel 2005).

(Repubblica.it, 26 aprile 2008)

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14.4.08

 

Con l'aborto andò così


Trent'anni fa la seduta decisiva alla Camera per l'approvazione della 194. Il sì del Senato arriva appena nove giorni dopo l'assassinio di Aldo Moro. Con lo scambio di voti e astensioni tra Pci e Dc si consuma il massacro di una legge. Esplode la rabbia delle donne. (Eleonora Martini)

«Ci sono leggi che segnano più di altre o in modo più immediato la vita quotidiana, che ne cambiano per così dire la qualità. La legge che ieri sera il Senato ha definitivamente approvato, con 160 voti contro 148, è certamente una di queste».

Il 19 maggio 1978 Miriam Mafai annuncia così dalla prima pagina de La Repubblica il varo definitivo della legge 194 con la quale l'Italia legalizza l'aborto. Il Corriere della Sera titola invece: «Legge necessaria, scelta dolorosa». Con il sì di Palazzo Madama si mette fine - così almeno sembrava all'epoca - ad anni di battaglie e scontri politici e culturali. Un clima che negli ultimi tempi è diventato decisamente nocivo alla via del «compromesso storico» su cui si sono avviati insieme i democristiani morotei e i comunisti berlingueriani. La situazione poi precipita quando le Br rapiscono e uccidono, il 9 maggio, il presidente della Dc Aldo Moro. Va da sé che quando il testo di legge arriva al Senato, a soli nove giorni da quel tragico evento, il voto scivola via senza grandi dibattiti ed emozioni.

Ma la vera partita si è già giocata il 14 aprile alla Camera, con una lunga e sofferta seduta. «Pci e Dc si scambiano voti e astensioni e concordano il massacro della legge. La ritirata radicale», è il titolo d'apertura del manifesto, il giorno dopo. Sono passati esattamente trent'anni e vale la pena oggi ripercorrere - a grandi linee - quei giorni, per interrogarsi su cosa abbia rappresentato davvero quel voto del '78 e su come si sia giunti alla formulazione di una legge entrata talmente nella nostra consuetudine da essere semplicemente chiamata «la 194».

Mentre già dal 1973 in Parlamento venivano presentate le prime proposte di legge in materia, come quella del deputato socialista Loris Fortuna, il movimento femminista superando divisioni e lacerazioni interne si batte invece non per la legalizzazione dell'aborto ma per la sua depenalizzazione. Per una forma cioè che permetta di considerare l'intervento abortivo al pari di ogni altra cura medica da assicurare a chi ne abbia bisogno. Poi, nel '75, fanno particolare scalpore gli arresti del segretario radicale Gianfranco Spadaccia, accusato di aver organizzato aborti clandestini in una clinica di Firenze, e delle militanti Adele Faccio e Emma Bonino, che si autodenunciano. E mentre dalle colonne del Corriere della Sera Pier Paolo Pasolini si dichiara contrario moralmente all'aborto, l'Espresso, insieme alla sinistra extraparlamentare, intraprende una campagna per un referendum abrogativo. Ma la vera novità arriva, sempre nel '75, con una sentenza della Corte Costituzionale che dichiara illegittimo punire l'aborto quando sia in pericolo la salute della donna e invita l'esecutivo a legiferare partendo dal principio che «non si può dare al concepito una prevalenza totale ed assoluta» rispetto al corpo della donna. Si arriva così al 14 aprile 1978, quando la Camera mette ai voti il testo della 194. La seduta dura 36 ore ininterrotte a causa dell'ostruzionismo dei Radicali, con i parlamentari costretti a passare la notte in Aula, "bivaccando" tra i banchi, come raccontano le cronache dell'epoca. A sbloccare la situazione ci pensa il presidente Pietro Ingrao che convoca nel suo ufficio una riunione con i capigruppo e trova l'accordo con i Radicali: fine dell'ostruzionismo e in cambio, al referendum sul finanziamento pubblico ai partiti previsto per giugno, si aggiungerà un quesito di abrogazione della legge Reale sulle armi. La 194 passa così con 308 voti favorevoli: quelli del Pci, Psi, Psdi, Pri, Pli e di un drappello di democristiani. Votano contro 275 deputati: quasi tutta la Dc, i Radicali, l'Msi, il Pdup-Dp.

Il testo votato è gravemente peggiorativo di quello originario, messo a punto fin dal gennaio '77 da una commissione parlamentare mista e trasversale che aveva ricevuto il compito di trovare una felice sintesi di tutte le proposte di legge finora presentate. Allora, la legge era stata approvata da quegli stessi scranni anche con i voti dell'estrema sinistra, ma poi era stata bocciata in Senato. In un anno però molto è cambiato, soprattutto negli ultimi mesi: il 16 marzo le Br sequestrano Aldo Moro e uccidono i cinque uomini della sua scorta. Quella mattina alla Camera era previsto il voto di fiducia sul V governo Andreotti, dimessosi l'11 marzo perché il Pci aveva ritirato l'appoggio esterno e chiedeva di entrare nell'esecutivo. Il 9 maggio, dopo 55 giorni che aprono un profondo dibattito tra gli italiani, viene rinvenuto in via Caetani il cadavere di Moro. Il 16 maggio il governo monocolore di Andreotti riottiene la fiducia con il voto di comunisti e socialisti. Anche l'approvazione definitiva della 194 in Senato suggella per certi versi una ritrovata "solidarietà nazionale".

La legge però finisce per scontentare un po' tutti. La Dc, accettando di ritirare ogni clausola che caratterizzasse l'aborto come crimine, incorre nelle ire del Vaticano. E le donne dell'Udi «gridano al parlamento la loro rabbia per il massacro del testo originale», come scrive il manifesto. Due in particolare gli articoli contestati, il 5 e il 12, emendati in senso peggiorativo dalla Dc. Il primo prevede che il medico o il personale del consultorio coinvolga nei colloqui preliminari il padre del concepito, «ove la donna lo consenta». Il secondo prevede una procedura più restrittiva per le minorenni e innalza a 18 anni il limite di età per l'autodeterminazione (nel testo originale era di 16). Altrettanto osteggiato è l'articolo 9 sull'obiezione di coscienza pensato per coloro che esercitando già la professione sanitaria potevano sentirsi costretti a «subire» una norma contraria alla propria morale.

A distanza di trent'anni, stravolto lo scenario politico e sociale, cambiano i personaggi, si ridisegnano ruoli e schieramenti, ma il corpo della donna rimane il terreno preferito su cui giocare tutt'altre partite.

(il manifesto, 13.4.08)

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12.4.08

 

Le donne perdute di Banisanta, paese bordello


Nel piccolo villaggio sulle rive del Pashur, uno dei quattordici luoghi del Bangladesh in cui dal 2000 la prostituzione è legale. Tra sfruttamento, mercato e violenze dei clienti (Stefania Ragusa)

Una lingua di terra protesa verso il porto dismesso di Mongla e circondata dall'acqua grigia del Pashur River. Banisanta si trova qui. E' un villaggio minuscolo. Coincide con uno dei quattordici bordelli ufficiali del Paese, gli unici posti dove prostituire e prostituirsi sarebbe consentito. Il Bangladesh ha legalizzato la prostituzione, a particolari condizioni, nel 2000, con un pronunciamento dell'Alta Corte di Giustizia. E' uno dei pochissimi stati musulmani ad averlo fatto. Niente luci soffuse, giacigli molli o donne lascive. Banisanta è fatto di ordinarie casupole. Due grandi cartelli, scritti e illustrati, ci danno il benvenuto. Uno raccomanda di usare il preservativo, l'altro di non scambiarsi siringhe. Nulla è specificato a proposito del consumo di alcol. Ma tutti sanno che è consentito. Nei piccoli bar sono regolarmente venduti pessimi distillati locali. Il ciclone Sidr è passato di qui, ma non ha lasciato troppi danni: a rendere più difficile la vita a Banisanta è stata la chiusura del porto. Meno clienti, meno lavoro.

Un'anziana, che sta masticando foglie di pan accocolata sull'argine, si mette faticosamente in piedi per vedere chi sta attraccando. Ha i denti vermigli, per effetto della calce mescolata ai frammenti di noce di betel racchiusi nel pan. Probabilmente è una mashi, una prostituta anziana: troppo vecchia per esercitare e troppo sola per andarsene altrove. Le mashi si guadagnano la vita cucinando o lavando i panni per le maitresse, che qui si chiamano shordarni, o per le ragazze che lavorano in proprio, le bharatia. Oppure tirano avanti mendicando. Le prostitute fanno molta elemosina. Sperano che la generosità le aiuti ad arrivare a Dio, quando sarà, un po' meno peccatrici. I bordelli, difficile immaginarlo dall'esterno, sono ambienti estremamente strutturati dal punto di vista sociale. Ci sono molti personaggi, ognuno ha un ruolo, un carattere e una traccia da seguire. Un po' come nella commedia dell'arte. La chukri, che lavora alle dipendenze della shordarni, è una sorta di schiava. La shordarni, che l'ha comprata e la sfrutta, quasi sempre è un'ex prostituta che ha saputo farsi imprenditrice. La bharatia, invece, lavora in proprio. La bariwali è una shordarni più potente: oltre alle ragazze possiede la terra e le capanne e le affitta a peso d'oro. Il costo giornaliero di una stanza oscilla tra le 30 e le 250 taka, cioè tra i 30 centesimi e i 2 euro e mezzo. Il bariwala è sempre un proprietario ma è un uomo, e vive rigorosamente fuori dal bordello: viene per riscuotere gli affitti e vendere alcol, organizzare scommesse e altre attività illegali. Il badha babu, altro uomo, è un cliente abituale, che non paga più perché è diventato una specie di marito della prostituta e un padre per i suoi figli. In pratica, spesso è solo un parassita. La dalal non risiede nel bordello ma si fa viva spesso: il suo compito è fornire nuove ragazze e, per assolverlo nel migliore dei modi, viaggia in lungo e in largo, dentro e fuori i confini. I clienti non hanno un nome specifico e appartengono a tutte le tipologie. In genere non hanno molti riguardi per le prostitute. Violenza e botte sono all'ordine del giorno.

La chukri è al gradino più basso. E' un oggetto che deve produrre reddito, una non persona. Ma può aspirare a riscattarsi, diventando bharatia una volta che avrà estinto il debito. Possono volerci da uno a cinque anni di lavoro. Per farsi shordarni ci vuole denaro: il prezzo di una chukri oscilla tra le 15mila e le 30mila taka (tra i 150 e 300 euro), in base all'età e alla bellezza. Quando la chukri arriva, la sua shordarni la porta da un notaio e le fa firmare una dichiarazione in cui attesta di avere più di 18 anni e di aver scelto il mestiere di sua volontà e per mancanza di alternative. Le ragazze, in genere, credono che questa dichiarazione, per la quale si pagano circa 400 taka, sia una licenza indispensabile per esercitare. In realtà il documento serve solo a tutelare la shordarni dall'accusa di sfruttamento. Le dichiarazioni sull'età sono quasi sempre mendaci ma nessuno può dimostrarlo perché l'anagrafe, in Bangladesh, non esiste: la maggior parte delle chukri comincia a lavorare prima dei 13 anni. Il canovaccio del bordello prevede che la shordarni si atteggi a madre premurosa, che opera nell'interesse delle figliolette chukri. Prevede anche che queste, interpellate sotto l'occhio vigile della loro signora, confermino docilmente tutto.

A Banisanta, fino al 2004, c'erano circa 250 prostitute. Oggi dovrebbero essere circa 180. Le stime sono delle ong che hanno deciso di "occuparsi" di questo problema. Inizialmente il loro obiettivo era traghettare le ragazze verso un'altra vita. Ma strada facendo si sono rese conto che non bastava un corso di cucito o cartonnage a creare un'alternativa ed estinguere il passato. E, soprattutto, si sono rese conto che era impossibile arrivare alle chukri. Il "galateo" e la struttura del bordello non lo consentivano. Così, la strategia è cambiata: riduzione del danno, sensibilizzazione delle sex worker rispetto ai rischi sanitari, alla necessità di proteggersi e di mandare a scuola le bambine, preparando per loro un destino diverso. Alla vecchia mashi, tutto questo, però, non interessa. Lei è preoccupata dalla morte. Vorrebbe avere la certezza di essere sepolta. Ma nel cimitero del villaggio vicino non le vogliono, a lei e alle altre. Quando muore una prostituta il suo corpo viene semplicemente gettato nel fiume.

Una donna mi fa dei larghi gesti con la mano, per invitarmi a entrare a casa sua. Si lamenta perché gli affari vanno male, il paese si sta spopolando. «Lavoriamo sempre meno». Kadjia è una shordarni di 29 anni, secca e magra. L'orecchino che, come tutte le bangladesi, porta al naso, sul suo viso scarno sembra un grosso bottone. A 12 anni era già chukri. La sua shordarni, dice, non era cattiva. «Mi faceva mangiare bene e mi dava le medicine quando mi ammalavo. E io ora faccio come lei. Alle mie ragazze non manca nulla». Quanto tempo ha impiegato a saldare il debito? «Un anno. Lavoravo quasi 24 ore su 24. Avevo fino a 20 clienti al giorno». Le chiedo della licenza. E' necessaria per lavorare? Sgrana gli occhi. «Certo! Ma le ragazze, però, poverine, non sanno dove prenderla e allora me ne occupo io». Ma davvero sono tutte maggiorenni? «Le mie sì, delle altre non posso sapere». Si sforza di essere convincente, Kadjia, mentre mi racconta queste bugie. Ma non ce la fa.

Le capanne sono tutte uguali e disposte in successione: sul davanti una verandina/vetrina dove stanno le ragazze, gli avventori, i bambini e gli sfaccendati. Sul retro due o tre alcove e poi un piccolo spiazzo per gli animali. C'è ordine, pulizia. «Ci teniamo molto», mi spiega Moina, una graziosa bharatia di 20 anni, accendendosi una sigaretta. «Se le cose non fossero così, rischieremmo di chiudere». Moina viene da un villaggio del nord. L'hanno mandata qui i suoi genitori, dopo che qualcosa le aveva distrutto la reputazione. Non si addentra nei particolari, ma deve essere stato un problema di dote. Dal 1980 la richiesta di dote, in Bangladesh, è formalmente illegale, ma questo non impedisce ai mariti di ripudiare (o, talvolta, uccidere) le mogli se le famiglie non sono in grado di onorare l'impegno preso. Questo costume è un'eredità dell'induismo, non c'entra niente con l'Islam. Il Corano prescrive la dote in termini opposti: è il marito che deve versarla alla moglie, per la sua sicurezza. «Non mi piace questo lavoro. A nessuna può piacere», dice Moina. «Ma non avevo scelta. Adesso riesco a mettere un po' di soldi da parte e ad aiutare la mia famiglia. Ma me ne andrò, prima o poi». Il tuo è un mestiere a rischio, da molti punti di vista, le dico. Che precauzioni adotti per non ammalarti? «Il profilattico. Non faccio niente senza». Ma c'è qualcuno che vigila sulla vostra salute? «Un medico viene ogni settimana. E poi ci sono dei volontari, delle signore di un'associazione». Nella stanzetta dove lavora Moina c'è un uomo addormentato. E' il suo badha bubu. «E' bravo. Se ho bisogno di qualcosa cerca di aiutarmi». Ma non è con lui che lei vuole andarsene : «No. Io voglio tagliare con tutto. Altre, prima di me, ce l'hanno fatta». Di più, molte di più, però, sono sono diventate vecchie nei bordelli, sono diventate mashi. Il sole sta tramontando. Moina mi accompagna alla barca tenendomi per mano. In lontananza posso scorgere un villaggio «normale», quasi attaccato a Banisanta eppure inaccessibile. La nuova strategia delle ong prevede anche un intenso lavoro culturale. Si vorrebbe che la gente capisse che anche le prostitute sono persone, hanno sentimenti, speranze, amano i l figli. Ovvietà? Non qui, dove alle prostitute non è consentito indossare le scarpe fuori dal bordello. Moina mi abbraccia e mi bacia. La barca comincia piano ad allontanarsi scivolando sull'acqua. Dalla riva le donne perdute di Banisanta, illuminate dal sole che tramonta, continuano a salutarmi con la mano.

(il manifesto, 11.4.08)

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3.4.08

 

Bologna - In migliaia cacciano Giuliano Ferrara da P.zza Maggiore


Giuliano Ferrara è stato costretto a interrompere il comizio elettorale da una determinata e rumorosa contestazione. Le pesanti cariche della polizia non hanno impedito alle donne e agli uomini di riprendersi la piazza e conquistare il palco da cui è stato ribadito il diritto all’autodeterminazione e il rifiuto di ogni tentativo di controllo e criminalizzazione delle scelte delle donne sulle proprie vite.

Galleria fotografica

Questo pomeriggio migliaia di donne e uomini, soprattutto ragazze, hanno impedito a Giuliano Ferrara di svolgere regolarmente il comizio elettorale per la lista “ Aborto? No, grazie”. Le/i manifestanti hanno dato vita a una rumorosa contestazione sotto al palco dove si teneva il comizio, in una piazza Maggiore blindata dalle forze dell’ordine e transennata.

Quando Giuliano Ferrara ha preso parola è stato investito da bordate di fischi e cori che rivendicavano il diritto all’autoderminazione delle donne, coprendo i suoi vaneggiamenti. A un lancio di ortaggi e uova, Ferrara ha risposto insultando le/i manifestanti e rilanciando a sua volta oggetti dal palco, mentre la polizia usando la forza e i manganelli cercava di disperdere le persone che continuavano a urlare e a fischiare. Il direttore de Il Foglio è stato costretto quindi a lasciare il palco. Quando i manifestanti l’hanno inseguito continuando la determinata contestazione, la polizia ha caricato pesantemente provocando diversi feriti.

Successivamente, il presidio con altre centinaia di persone con il sound system degli spazi sociali e della Rete per l’autoderminazione, che si stava svolgendo parallelamente alla contestazione in Piazza Nettuno, ha superato lo sbarramento di transenne e forze dell’ordine e si è riunito a chi era in Piazza Maggiore.

Una grande moltitudine di donne e uomini si è quindi ripresa Piazza Maggiore, si è diretta verso il palco conquistandolo, levando la copertura con i simboli elettorali e affiggendo lo striscione “Fuori i nostri corpi dal vostro controllo”. Si sono poi susseguiti una serie di interventi che hanno ribadito che la 194 non si tocca, che la libertà di parola della lista di Ferrara non potrà mai cancellare la libertà di scelta di tutte e di tutti e rilanciato la lotta contro ogni tentativo di normalizzare i comportamenti e controllare i corpi.

La voce delle protagoniste: [ audio o1 ] [ audio o2 ] [ audio o3 ]

Leggi l’appello

Agenzia di Stampa Repubblica.it, Foto Il Resto del Carlino.it, Foto Il Messaggero.it Zic

Global Project Bologna

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"La donna libera dall’uomo, tutti e due liberi dal Capitale"

(Camilla Ravera - L’Ordine Nuovo, 1921)

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Sciopero generale, subito!

Stop agli omicidi del profitto! Blocchiamo per un giorno ogni attività. Fermiamo la mano assassina del capitale. Organizziamoci nei posti di lavoro in comitati autonomi operai con funzioni ispettive. Vogliamo uscire di casa... e tornarci!

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