21.7.08

 

Dal part time coatto alle dimissioni in bianco. Sempre discriminate


Su un dato, tutte le recenti statistiche sul mercato del lavoro italiano, convergono: la crescita esponenziale del part time, che anche nel 2007 è aumentato del 3,6% rispetto all'anno precedente. Una scelta subìta dalla stragrande maggioranza delle lavoratrici coinvolte (delle 116 mila nuove occupate del 2007, ben 70 mila sono a tempo parziale). Per l'azienda invece, un'affilata arma di ricatto, potenziata ora dalla detassazione di straordinari e «tempi supplementari», varata dal governo. Quale interesse dovrebbe infatti avere un'azienda a trasformare il tempo parziale in tempo pieno - come vorrebbe circa la metà delle donne occupate part time, secondo l'Istat - quando può tranquillamente usufruire dell'orario supplementare (ore lavorative in più) detassato? (Sara Farolfi)

E non c'è solo il part time. I provvedimenti del governo incentivano di fatto i differenziali salariali già esistenti tra uomini e donne (le donne guadagnano circa il 25% in meno, secondo l'Isfol) e accentuano le discriminazioni dirette e indirette nei luoghi di lavoro. Come altrimenti spiegare l' abrogazione della legge sulle dimissioni in bianco? Una pratica diffusissima, soprattutto nelle piccole e piccolissime imprese (che costituiscono il nerbo del nostro sistema produttivo), che consiste nel fare firmare alle donne, all'atto dell'assunzione, una lettera di dimissioni senza data, opportunamente tirata fuori in caso di gravidanza o al rientro della maternità.

Altro che obiettivi di Lisbona, a cui anche l'Italia ha aderito, e che vorrebbe il tasso di occupazione femminile al 60% entro il 2010. Nella media del 2007 il tasso di occupazione per le donne è risultato pari al 46,7%, contro una media europea del 58,3%. Anche quando accedono a un lavoro, per le donne i salari sono più bassi e il trattamento peggiore. Perciò una richiesta di incontro a governo e parlamento è stata avanzata da una nutrita fila di dirigenti Fiom e Fim, per dire della «preoccupazione fortissima per il futuro dell'occupazione femminile che abbiamo, in quanto sindacaliste, rispetto alla manovra che si prefigura».

Part time, dimissioni in bianco e non solo. La detassazione dei premi aziendali ad personam discrimina in particolare le donne, che spesso non ne beneficiano, scrivono nella lettera le sindacaliste. La forte deregolamentazione in tema di orari, turni e riposi settimanali, che porteranno ad un aumento degli orari medi, tendono a ostacolare l'allargamento dell'occupazione e in particolare quella femminile, già molto al di sotto degli obiettivi di Lisbona. E ancora: l'assenza di un piano di rilancio dei servizi per l'infanzia, i tagli alla finanza pubblica, alla scuola e alle amministrazioni locali, comprimeranno ancora i servizi pubblici, con un ulteriore aggravio delle responsabilità di cura che ricadono prevalentemente sulle donne.

Lavora a tempo parziale, secondo i dati dell'Istat, il 13,6% degli occupati. Quattro occupati su cinque (il 78%), sono donne. Il 27% delle occupate è a part time. Moltissime lavorano nella grande distribuzione, con un orario settimanale che va dalle 16 alle 22 ore. «Nel 95% dei casi», non ha dubbi Dora Maffellotti, segretaria Filcams di Milano e Lombardia: un part time a 16 ore significa uno stipendio di 450 euro al mese. Una parziale liberalizzazione del tempo parziale era già stata effettuata dal precedente governo Berlusconi. Abolendo l'assunzione part time a orario fisso, e introducendo quella con clausule flessibili e elastiche. E' il cosiddetto orario supplementare, per cui un'azienda, con un preavviso di quarant'otto ore, può comunicare alla lavoratrice i cambiamenti (o allungamenti) dell'orario di lavoro. «Detassare quelle ore supplementari - conclude Dora - significa aggravare la possibilità per le lavoratrici di uscire dal ricatto perenne».

(il manifesto, 19.7.08)

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15.7.08

 

Rifiuti umani


Le schiave della monnezza

Lavoratrici marocchine impiegate per separare plastica e vetro dall'immondizia. A mani nude e sotto il sole, in mezzo a una montagna di rifiuti. E naturalmente è vietato lamentarsi, pena il licenziamento. La «fabbrica», di proprietà della Star reciclyng, è stata scoperta alla periferia di Padova. La Cgil chiede la sospensione dell'attività (Sebastiano Canetta, Ernesto Milanesi)

Korogocho nel cuore della zona industriale di Padova. Un'immagine - quella della baraccopoli di Nairobi - stridentemente efficace del modello Nordest. La discarica fra i capannoni, dove il lavoro non ha tetto né legge. E' l'ultima frontiera del Veneto, dove immondizia e extracomunitari convivono fino a doversi confondere. E' la Star Recycling di Corso Francia, dove ieri pomeriggio un blitz di Rifondazione comunista a Workers in Action ha squarciato una realtà normalmente accettata. Donne marocchine, con e senza velo, in ginocchio fra i rifiuti. Praticamente ridotte ad una condizione di schiavitù. Costrette a separare montagne di immondizia a mani nude, sotto la canicola estiva. Nessuna protezione, lamentela o protesta, pena il licenziamento in tronco.

Al di là di ogni immaginazione per Padova che si considera una città europea civile. Eppure accade in piena zona industriale, dove il presidente del consorzio Zip Angelo Boschetti progetta torri della ricerca pediatrica, asili infantili, parchi senza vedere dietro la facciata. Un angolo di vergogna, un emblematico luogo produttivo, una terrificante "fabbrica" del Duemila. La Star Recycling è l'altra faccia della speculazione urbanistica e immobiliare nella Zip: l'ha denunciata l'associazione dei costruttori, puntando l'indice perfino contro il sindaco Flavio Zanonato. Mezzo secolo fa, era pura campagna: i contadini furono espropriati grazie ai manganelli della Celere, perché Padova aveva bisogno di una zona industriale simile a Marghera. Oggi la Zip (scaduta la legge nazionale che la istituiva) sopravvive con il vetrocemento direzionale, i capannoni che diventano locali notturni e la produzione industriale che lascia il posto ai servizi. Come quelli della Star Recycling.

La Korogocho in salsa padovana l'hanno scoperta ieri pomeriggio i lavoratori di Workers in Action e gli esponenti locali di Rifondazione, svelando le condizioni subumane di venti lavoratrici immigrate. La ricicleria della Zip era parzialmente bruciata il 10 maggio scorso. Dall'incendio si era salvata solo mezza fabbrica: spazio più che sufficiente per mettere ai lavori forzati il pugno di dipendenti della cooperativa Centro Lavoro.

Padova, capitale della raccolta differenziata che viaggia al 43 per cento, smaltisce i rifiuti a ritmo bavarese e prezzo africano: a partire dalle condizioni di lavoro imposte con il ricatto all'ultimo anello della filiera della «monnezza». Il più debole, il meno visibile. «Una scena raccapricciante - rivela Daniela Ruffini, assessore all'Immigrazione - Schiave chinate su cumuli di sacchi di spazzatura appositamente smembrati. Mai vista una cosa del genere se non in Kenya». Poi l'improvviso faccia a faccia con Samuel Piazza, amministratore unico della Star reciclying. Avvertito dai fedeli kapò (tra loro anche un marocchino) ha provato a respingere oltre il cancello i testimoni dello sfruttamento. Occhi scomodi, come quelli dei media e di Paolo Benvegnù, responsabile lavoro del Prc padovano. «E' bene che tutti sappiano come si lavora in questa azienda - spiega - La Star Recycling avrebbe dovuto attendere il riatto dei macchinari destinati alla separazione prima di riprendere l'attività». Ma il tempo è denaro e la caccia a plastica, carta e lattine era stata affidata all'esercito silenzioso messo a disposizione dalla cooperativa Centro Lavoro. Ultimo tassello della fiera del subbappalto che fa capo a Progetto Salvaguardia Ambiente Spa. Già proprietaria del Centro riciclo di Monselice (altro impianto che funziona con braccia magrebine) la società ha affidato la raccolta differenziata a Work Service che, a sua volta l'ha "girata" a Centro lavoro. Appalto su appalto. Ora la palla è passata alla Cgil. I sindacalisti hanno chiesto l'interruzione del riciclaggio fino alla sistemazione «strutturale» dell'azienda . E avvertono: «Non accettiamo trucchi: in caso di blocco la Star Recycling dovrà continuare ad erogare lo stipendio alle lavoratrici - puntualizzano alla Cgil - Fino all'inserimento delle venti dipendenti nel libro paga della casa madre, e non una delle tante cooperative. Anche perché molte operaie sono state licenziate e riassunte diverse volte. In altre parole hanno continuato a pagare i contributi anche quando non lavoravano».

Oltre il danno, la beffa. Eppure basterebbe guardare qualche chilometro più a Nord, alla vicina ricicleria di Vedelago, nel trevigiano. Dove gli operai vengono assunti direttamente dal gestore dell'impianto. Paga base: 1.400 euro al mese.

(il manifesto, 12.7.08)

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"La donna libera dall’uomo, tutti e due liberi dal Capitale"

(Camilla Ravera - L’Ordine Nuovo, 1921)

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Sciopero generale, subito!

Stop agli omicidi del profitto! Blocchiamo per un giorno ogni attività. Fermiamo la mano assassina del capitale. Organizziamoci nei posti di lavoro in comitati autonomi operai con funzioni ispettive. Vogliamo uscire di casa... e tornarci!

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