21.12.07

 

Cronache di lavoratrici in lotta


Trascurato dalla storiografia, il tema del lavoro delle donne all'inizio del Novecento è al centro del volume «Operaie e socialismo» della storica Fiorella Imprenti. A dispetto degli stereotipi, e grazie alla loro combattività, le organizzazioni femminili riportarono successi significativi (Michele Nani)

Nel giugno del 1902 Milano fu teatro di una singolare manifestazione: radunatesi di buon mattino, circa duecentocinquanta piscinine passarono in rassegna i principali stabilimenti di sartoria. Guidate dalla quattordicenne Giovannina Lombardi, le giovanissime apprendiste invitarono le loro compagne a unirsi alla lotta e inveirono contro le «crumire». Dinanzi al Duomo si spinsero fino a intonare l'Inno dei lavoratori, venendo disperse dalla forza pubblica, che pensò bene di trattenere in questura quattro ragazzine. Giunte alla Camera del Lavoro dovettero attendere il pomeriggio e ne approfittarono per un secondo corteo. Vennero infine accolte con un comizio in milanese e sempre in dialetto presentarono le loro rimostranze ai dirigenti sindacali: aumenti salariali e riconoscimento degli straordinari, alleggerimento dello scatolone utilizzato per le consegne, definizione precisa delle mansioni e dell'orario. Lo sciopero proseguì per più di una settimana e si concluse con una clamorosa vittoria: nonostante le condizioni difficili, circa cinquecento apprendiste fra i 9 e i 14 anni erano riuscite a lottare unite e a ottenere significativi miglioramenti.

L'episodio è emblematico tanto della presenza attiva delle donne nell'economia milanese nei decenni a cavallo fra Otto e Novecento, quanto di un rilevante grado di organizzazione sindacale e di combattività. Eppure il lavoro femminile resta trascurato dalla storiografia, anche da quella più attenta al movimento operaio: spesso gli studi hanno riprodotto le rappresentazioni dell'epoca, che volevano le donne confinate alla sfera domestica o al lavoro dequalificato, e comunque socialmente passive. Tali stereotipi rimandavano allo status subalterno delle donne: nei rapporti sociali valevano a giustificare sia i bassi salari (pensati come complementi secondari del reddito familiare imperniato sul lavoratore maschio), sia la tradizionale sottovalutazione politica e sindacale delle potenzialità delle lavoratrici. Uno sguardo curioso e attento a fonti tradizionali (gli archivi di polizia, la stampa locale e quella socialista e sindacale, le inchieste dell'epoca) è sufficiente a rivelare quelle potenzialità, come conferma il bel lavoro di Fiorella Imprenti, Operaie e socialismo. Milano, le leghe femminili, la Camera del lavoro (1891-1918) (Franco Angeli, pp. 324, euro 23). L'autrice ricostruisce la sindacalizzazione di alcune categorie di tutto rilievo, forti di migliaia di lavoratrici. Il tessile, innanzi tutto: come altrove, anche a Milano le donne sfioravano i quattro quinti della forza lavoro dell'industria serica e cotoniera ed espressero capacità organizzativa, conflittualità diffusa e quadri dirigenti.

Industrializzata più tardi, con l'avvento della macchina da cucire, la sartoria milanese vide la rapida diffusione, accanto alle fabbriche, di un tessuto di laboratori semiartigianali e di lavoro a domicilio: a chi si attardava nell'immagine oleografica della «sartina», sedotta dal lusso della moda e dalle promesse di giovani rampolli, queste lavoratrici risposero con un serrato attivismo, che culminò nello sciopero cittadino del 1907. Le operaie impiegate alla manifattura tabacchi erano più garantite e in quanto dipendenti pubbliche godevano di maggiore continuità nel lavoro, di forme pensionistiche e di tutela: questa condizione non rese meno combattive le mille «tabacchine» milanesi, che dinanzi alla rigida disciplina si spinsero già nel 1901 a occupare gli stabilimenti.

Infine, le orlatrici dell'industria calzaturiera fondarono la prima «lega» femminile italiana, sorta a Milano nel 1883, e quindi promossero l'organizzazione regionale e nazionale di categoria: soggette a minori discriminazioni in seno al movimento, per via dello spirito libertario dei calzolai, furono politicamente radicali e per una fase optarono per il sindacalismo rivoluzionario. L'autrice delinea efficacemente l'emergere dell'organizzazione sindacale femminile in una delle capitali industriali del Regno d'Italia. L'alternativa fra la fondazione di leghe separate e la confluenza nei sindacati «misti» dipendeva in gran parte dalla struttura occupazionale. Nel primo Novecento si delineò tuttavia un processo di ricomposizione, favorito dalla transizione al sindacalismo «industriale» (concentrato in grandi categorie, oltre la frammentazione dei mestieri) e dai frequenti fallimenti delle rivendicazioni sorrette dalle sole organizzazioni femminili.

Il legame organizzativo più stretto con il movimento operaio favorì lotte e conquiste, ma non era una novità: andava infatti a rinsaldare il paziente lavoro del quindicennio precedente, quando si era costruito un rapporto di fiducia fra lavoratrici e Camera del lavoro, ma anche fra le prime organizzatrici sindacali e la politica di classe dei socialisti. In questa seconda fase il rapporto con le grandi federazioni, soprattutto con i tessili della Fiot, fu tuttavia problematico. Nel 1910 i dirigenti della Fiot si mostrarono ostili all'ingresso di una donna fra i rappresentanti sindacali in seno al Consiglio superiore del lavoro, scatenando le polemiche di socialiste e femministe. Sull'onda della discussione nacque una rubrica del periodico di categoria «Le Arti Tessili»: l'esperienza della «pagina della donna» durò due anni, ma si aprì alla voce delle operaie solo nella prima uscita, il 31 gennaio 1911. L'esperimento non resse alle provocazioni di Ercolina Lombardi contro l'atteggiamento dei compagni in merito alla condivisione delle fatiche domestiche, né alla presa di coscienza di una voce maschile: un giovane operaio biasimava chi trattava «ancora la donna come si trattava la schiava nei tempi antichi» e voleva «essere rapidamente servito (molti prendon moglie nient'altro che per questo) onde raggiungere i suoi compagni all'osteria».

(il manifesto, 20.12.07)

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"La donna libera dall’uomo, tutti e due liberi dal Capitale"

(Camilla Ravera - L’Ordine Nuovo, 1921)

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