19.2.08

 

Aborto in Polonia, legge contro le donne



«Difesa della vita» a oltranza In vigore dal 1993 si chiama «Legge per la protezione dell'embrione umano». Per una norma tra le più restrittive al mondo nel paese si praticano dalle 180 alle 220mila interruzioni di gravidanza clandestine ogni anno. Numeri che non tengono conto della situazione nelle campagne, dove la povertà costringe a ricorrere alle mammane La Chiesa domina e nessun partito osa opporsi a una legge che fa strage di donne. Le strutture sanitarie spesso rifiutano di effettuare persino l'aborto terapeutico, anche perché i medici temono per la propria carriera e si appellano all'obiezione. (Mauro Caterina)

Karina Kozic, 21 anni, viveva in un piccolo centro nel Voivodato della Grande Polonia, nella parte occidentale del Paese. Nel marzo del 2005 pratica un aborto clandestino in un appartamento privato di un ginecologo, nella cittadina di Swarzedz. Subito dopo l'intervento ha un'emorragia e viene trasportata con un'ambulanza all'ospedale di Poznan, dove muore.Basia ha 25 anni quando rimane incinta. Ha completato da poco gli studi in legge e col fidanzato hanno deciso di comprare casa e vivere insieme. Improvvisamente inizia ad accusare dei forti dolori all'addome. All'ospedale di Pila il medico le diagnostica un'ulcera all'intestino. Viene ricoverata nel reparto di gastroenterologia dell'ospedale di Poznan. «La priorità dei medici - racconta la madre - era quella di salvare a tutti i costi la gravidanza». «Mia figlia gridava e piangeva per i dolori atroci che comunque sopportava». Tre settimane di cure a base di paracetamolo e Basia viene dimessa dall'ospedale. Trascorsa una settimana a casa, ritornano i dolori. Viene nuovamente ricoverata in ospedale: ascesso interno. La ragazza viene operata e rilasciata con la ferita ancora non del tutto rimarginata. Passano due giorni e i dolori all'addome diventano acuti. L'ambulanza la riporta per l'ennesima volta in ospedale. I medici dicono alla madre di Basia che sua figlia «pensa troppo a se stessa e poco alla gravidanza». Per tutta risposta, lei decide di portare Basia in un altro ospedale, dove le viene diagnosticato un altro ascesso ed una fistola. Era necessario effettuare un'endoscopia per scoprire il problema ed individuare l'infezione. Ma quel tipo di esame poteva avere dei rischi e compromettere la gravidanza. Il dottor Jaroslaw Cywinski si rifiuta di effettuare l'esame: «La mia coscienza non lo permette», si giustifica. Pochi giorni dopo la ragazza finisce sotto i ferri in sala operatoria. Perde il bambino. Subisce altri interventi nel tentativo di fermare le emorragie. Basia muore il 29 settembre del 2004. La professoressa Gazyna Rydzewska è un'esperta gastroenterologa polacca: «In questo caso bisognava fare l'esame endoscopico. Non vi era la sicurezza di poter salvare la gravidanza, ma era un rischio che si doveva correre». Il dottor Cywinski è stato indagato per omicidio colposo. E' ancora sotto inchiesta.

Karina e Basia sono due delle tante, tantissime donne, troppe, che in Polonia perdono la vita a causa di una legge ideologica e conservatrice: la «Legge per la protezione dell'embrione umano». Entrata in vigore il 7 febbraio del 1993, quella polacca è una delle leggi più restrittive al mondo riguardo all'aborto. L'interruzione legale della gravidanza è prevista solamente in tre casi: nel caso in cui la gravidanza rappresenta una seria minaccia alla vita o alla salute della donna (ciò deve essere accertato da un medico oltre che dal ginecologo che dovrebbe operare); nel caso in cui un esame prenatale evidenzi gravi malformazioni del feto; nel caso in cui la gravidanza sia stata procurata da uno stupro (deve essere un magistrato ad accertare il fatto). Per i dottori che praticano l'aborto al di fuori della legge è prevista una condanna dai 3 ai 5 anni di detenzione.

Ogni anno si calcola che in Polonia vengono praticati dai 180.000 ai 220.000 aborti clandestini. Numeri che però non tengono conto di quello che succede nelle campagne. «Chi ha i soldi vola all'estero - ci dice Katarzyna Gajewska - oppure trova un ginecologo compiacente che mette a disposizione il suo studio privato, per un costo che si aggira intorno ai mille dollari». Katarzyna è una dirigente attivista di «Konsola», associazione femminile con sede nella città di Poznan che promuove il dibattito per una legge sull'aborto liberale e si batte per i diritti delle donne polacche. «Il vero dramma è nelle campagne». "Lì - continua - non ci si può permettere un ginecologo e allora si ricorre alle mammane». Una strage silenziosa della quale non si conoscono i numeri. I decessi, infatti, non vengono registrati dagli ospedali sotto la denominazione di «aborto clandestino».

Abbiamo provato a fare un giro negli ospedali di Varsavia e di Poznan, cercando di parlare dell'argomento scottante con dottori e gli infermieri in servizio. «No comment» è l'atteggiamento generale. Un'infermiera a Varsavia ha tagliato corto dicendo che «in questo ospedale siamo contro l'aborto, non ci interessa altro». Ed è proprio da queste parole che viene fuori una realtà imbarazzante e paradossale. Pur avendo una donna i requisiti di legge necessari per poter chiedere l'interruzione legale della gravidanza, ciò viene sistematicamente ignorato dalla maggior parte delle strutture sanitarie nazionali. L'aborto terapeutico viene percepito come un crimine dal mondo medico ed un serio ostacolo alla carriera, salvo poi, per molti di loro, spartirsi senza rimorsi di coscienza il ghiotto mercato degli aborti clandestini. Non è affatto difficile trovare un medico disposto a praticare clandestinamente l'aborto. Come? Il passa parola, prima di tutto, oppure inserzioni pubblicitarie nei giornali locali dove si promette «il ritorno delle mestruazioni». Tutti lo sanno e tutti fanno finta di non sapere. Ma è sempre così? E' possibile che in Polonia non vi sia nessuno medico che abbia il coraggio di alzare la voce contro il mercimonio della salute di una donna, e contro una legge che mostra tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni?

Un caso che ha fatto molto discutere e acceso il dibattito anche all'interno dell'ambito medico è stato quello della dottoressa Malgorzata, ginecologa con alle spalle una lunga carriera. L'11 gennaio del 2008 il maggiore quotidiano polacco, Gazeta Wyborcza, porta a conoscenza dell'opinione pubblica l'arresto di un medico ginecologo nella cittadina di Zyrardow. Si tratta della dottoressa Margolzata, appunto, accusata di aver effettuato 26 aborti illegalmente. A denunciarla alla polizia è stata una sua paziente di 26 anni. Secondo quanto riportato nella denuncia, la ragazza, dopo aver scoperto di essere rimasta incinta, ha cercato in tutti i modi di trovare qualcuno che le praticasse l'aborto. Il padre del bambino l'aveva abbandonata e lei si trovava da sola e con altri due bambini malati da crescere con uno stipendio di 900 zloty al mese (circa 250 euro). Era disperata. Dopo una serie di rifiuti da parte di altri ginecologi, a cui aveva proposto di pagare il compenso di 2.500 zloty a rate, la donna si rivolge alla dottoressa Malgorzata, la quale le chiede il motivo di quella decisione e tenta di dissuaderla, senza riuscirci. La 26enne quel giorno paga solo 200 zloty. Il giorno dopo, però, sporge denuncia alla polizia. La ginecologa si dichiara colpevole. Tutte le altre donne a cui ha praticato l'aborto hanno testimoniato in suo favore, dicendo che prima di procedere la dottoressa aveva fatto di tutto per dissuaderle. «Sì sono colpevole - ha detto la ginecologa - ma l'ho fatto secondo la mia coscienza». «Ho praticato l'aborto solo in quei casi in cui la gravidanza rappresentava un alto rischio per la vita delle mie pazienti, o nel caso in cui esse erano in difficoltà economiche ed erano determinate a farlo». La dottoressa Malgozata ha chiesto volontariamente di essere condannata alla pena prevista dalla legge e al pagamento di 15.000 zloty.

Quanto alla politica, in Polonia non si muove foglia sull'argomento a meno che non sia la Chiesa a parlarne. Nessuno dei partiti dell'arco costituzionale vuole prendere una posizione contraria nei confronti della legge attuale. Una sudditanza che schiaccia l'autonomia della politica dalla religione e costringe le donne all'umiliazione e alla gogna sociale. Quando, se e come cambieranno le cose da queste parti, per adesso non è dato saperlo. L'associazione che più di tutte si sta battendo per i diritti delle donne in Polonia e il cambiamento della «legge per la protezione dell'embrione umano» è la Federazione Polacca per le Donne. Sono molte le battaglie portate avanti, ma quella più importante da combattere è contro l'indifferenza.

(il manifesto, 17.2.08)

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