2.11.07

 

In piazza contro la violenza di genere


Che il maggior numero di violenze fisiche e sessuali contro le donne avvenga nell'ambito familiare ormai è noto, almeno ai lettori di questo giornale. Come è noto che quelle che vengono denunciate sono solo la punta piccolissima di un iceberg. Quello che forse non è stato ancora raccontato abbastanza è che anche le violenze sessuali e le aggressioni subite in strada vengono raramente denunciate perché le donne spesso sono le prime a non avere rispetto per se stesse e a interiorizzare un contesto culturale e sociale che le vuole vittime per destino. Le donne insomma non sono al sicuro mai. Né dentro le mura domestiche né tanto meno in strada. (Eleonora Martini)

Ma allora, insieme al lavoro culturale e visto che si parla di sicurezza urbana, c'è qualcosa che si potrebbe fare per rendere le città più sicure per le donne? I dati parlano da sé e fanno onestamente paura, come ha denunciato recentemente anche la stessa ministra delle pari opportunità Barbara Pollastrini. E raccontano di un mondo dove sempre più «la violenza maschile non conosce differenze di classe, di etnia, di cultura, di religione o di appartenenza politica», come scrivono nel manifesto di convocazione le associazioni che hanno indetto per sabato 24 novembre una manifestazione nazionale a Roma, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Un'iniziativa costruita a partire dall'assemblea pubblica che si è tenuta nella capitale il 21 ottobre scorso presso la Casa internazionale delle donne, scaturita dall'incontro di singole cittadine e organizzazioni femminili, femministe e lesbiche provenienti da tutta Italia. Il problema è culturale(1) e non può essere affrontato solo da un punto di vista securitario, dicono le associazioni di donne, le operatrici dei centri antiviolenza e molte esponenti del variegato mondo del femminismo italiano. Meno che mai «può essere ricondotto a un problema di sicurezza delle città o di ordine pubblico», come c'è scritto nell'appello diffuso dal sito http://www.controviolenzadonne.org/. L'aggressività maschile, aggiungono, «è la prima causa di morte e di invalidità per le donne di tutto il mondo, come riconosciuto dall'Onu».

Ma è così vero che l'aggressività maschile nei confronti delle donne non conosce differenze culturali? Dirlo non è fare un po' torto al lavoro e alle lotte di quasi quaranta anni di storia femminista? «Fino a che non cambierà la cultura di questo paese non ci sarà nessuna città sicura per le donne - risponde Assunta Sarlo, esponente di primo piano del movimento Usciamo dal silenzio, tra i promotori della manifestazione - Poi è ovvio che in ambito locale ci sono politiche che rendono più sicure le città e altre che sono totalmente inutili. Sono inutili per esempio le telecamere a ogni angolo o la militarizzazione del territorio, mentre è assolutamente necessario riempire e vivacizzare le strade e non svuotarle».

Dare un'occhiata alle statistiche può essere d'aiuto a capire la situazione: in Italia una donna su tre subisce violenza fisica e sessuale, soprattutto tra le mura di casa, secondo il Centro soccorso di Milano. Oltre 14 milioni di donne italiane hanno subito abusi nella loro vita, si stima possano essere circa il 65% della popolazione femminile. Un milione e 400 mila donne hanno patito uno stupro prima dei 16 anni. Ma il 96% delle violenze non vengono denunciate. Il 14,3% delle donne ha subito almeno una volta violenza fisica o sessuale dal partner, attuale o ex, mentre il 24,7% le ha ricevute da un altro uomo. Ma, secondo dati Istat, solo il 18,2% delle donne considera la violenza patita in famiglia un «reato», mentre il 44% la giudica semplicemente «qualcosa di sbagliato» e ben il 36% solo «qualcosa che è accaduto».

«La violenza sulle donne è una piaga sociale e non un problema individuale e deve trasformarsi in qualcosa di negativo, mentre oggi non è così - dice Daniela Fantini, da 12 anni ginecologa al Soccorso violenza sessuale di Milano - ce n'è tanta in famiglia ma anche in strada e poche denunciano perché manca il rispetto di sé, perché la considerazione che la donna valga zero è purtroppo molto diffusa». Ma è anche ovvio che sia più diffusa laddove non c'è stato abbastanza lavoro culturale da parte delle donne o dove c'è una violazione sistematica dei diritti umani. «Il maggior numero di violenze avvengono all'interno dei gruppi di immigrati rumeni, albanesi, sudamericani e africani», aggiunge la dottoressa Fantini che racconta episodi che hanno dell'incredibile: «Spesso ci raccontano di uomini che dopo aver violentato una donna, magari fuori di una discoteca, le offrono il loro bigliettino da visita. Lo stupro, insomma, non è considerato una cosa sbagliata. Bisogna ribaltare questa concezione e dire che la violenza non è un destino e per gli uomini non è un obbligo». «Non so cosa serve a rendere una città più sicura - conclude Fantini - ma di certo non serve riempirla di poliziotti, perché elimina solo questi epifenomeni di cui vengono poi riempite le cronache. Il lavoro sul rispetto è più lungo ma è l'unico che paga davvero».

(il manifesto, 1.11.07)
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(1) E' il limite della manifestazione. La violenza di genere non è solo un problema "culturale", ma soprattutto politico-sociale. Tuttavia, è un primo passo mobilitativo [N.d.R.].

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"La donna libera dall’uomo, tutti e due liberi dal Capitale"

(Camilla Ravera - L’Ordine Nuovo, 1921)

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