2.3.08
Donne sotto il velo, il sipario strappato
Chador, burqa, niqab... tanti modi per dire la segregazione femminile. Il libro di Giuliana Sgrena «Il prezzo del velo» racconta i crimini silenziosi della «guerra dell'islam contro le donne». La lotta e la resistenza (Mariuccia Ciotta)
«Mi ricordo il pallore dei visi delle donne afghane quando hanno manifestato per la prima volta contro il burqa dopo la partenza dei taleban. La pelle che per anni non aveva goduto del beneficio dei raggi sole si squamava». È un'immagine folgorante, la scena clou di un film dell'orrore, dove più del sangue conta il piccolo dettaglio, l'incrinatura ai margini... «la pelle si squamava».
Il libro di Giuliana Sgrena Il prezzo del velo (Feltrinelli, pp. 156, euro 13) è una polifonia di crimini e di resistenza, il racconto in crescendo della «Guerra dell'islam contro le donne», sottotitolo di un noir dove il maschile è definito dall'annientamento del femminile. E dove al tempo stesso, nel suo delirio di controllo della donna, l'uomo integralista nazionalista devoto ne esce subumano. Il furore machista e identitario contro modernità e occidente si spegne nel suicidio della sua stessa cultura, la donna oscurata è una parte di sé che muore. La rivoluzione, che interiorizza la schiavitù e lacera il proprio corpo, non avrà luogo.
Giuliana strappa il velo, declinato in tutte le sue forme, chador (iraniano), burqa (afghano), niqab (saudita) e ci mostra cosa c'è oltre lo schermo. Dietro l' abaya nera, ispiratrice della maschera di Guerre stellari, si apre un abisso, molto lontano dalle riflessioni europee sull'uso del velo da concedere o meno alle immigrate. Quel pezzo di stoffa è solo il segnale visibile di un feroce abuso, un sipario che può apparirci voluttuoso, quasi un monile sensuale posto a barriera dello sguardo e che nasconde invece il più grande crimine contro l'umanità. La mappa di Giuliana disegna l'esproprio della libertà delle donne in una vasta area del mondo, dove non c'è scelta possibile. Chi dichiara di indossare il vero liberamente sa che non è dato vivere Con il vento nei capelli (titolo del libro della scrittrice palestinese Salwa Salem) per milioni di sorelle che combattono perché un giorno il foulard non significhi altro che moda (le passerelle di Parigi in questi giorni mostrano ragazze con un fazzoletto sulla testa, vintage degli anni Sessanta). Ma ora il percorso del Prezzo del velo ci porta nei gironi infernali di paesi amici e nemici dell'occidente, che fingono di ignorare le lotte estreme delle donne e dei giovani contro una politica di segregazione. «L'obiettivo di questo libro - scrive l'autrice - non è tanto la denuncia delle violazioni dei diritti delle donne nel mondo islamico (...) bensì far luce su una realtà poco nota e poco raccontata: la presenza nei paesi musulmani di donne (ma anche di uomini) che si battono per i loro diritti...».
Un viaggo che parte da Sarajevo, diventata terra di conquista dei mujahidin, i combattenti di credo wahabita, impegnati a reislamizzare la Bosnia. Scopriamo che qui le donne «convertite» ottengono 400 marchi bosniaci (200 euro) al mese se indossano l'hijab, soldi provenienti in gran parte dall'Arabia saudita. Un ritorno al passato, stigmatizzato dalla sociologa femminista Nada Ler Sofronic, che lamenta la sottovalutazione del fenomeno: «che non è religioso: la fede viene usata come strumento da un movimento neoconservatore e nazionalista, è la destra politica». Il libro passa quindi alle «malvelate» dell'Iran, dove non si «può pregare con lo smalto» e che evoca un bellissimo cartoon uscito in questi giorni, Persepolis di Marjanne Satrapi, giovane scrittrice e disegnatrice iraniana. Un arabesque di carboncino che graffia lo schermo con i suoi «barbuti» e inquadra se stessa bambina in fuga, perseguitata per il suo modo «sportivo» di portare il velo, le scarpe da ginnastica e l'ironia.
Per tutte vale il «modello saudita» che detta il suo mostruoso decalogo «rosa»: vietato guidare, viaggiare, star sole in albergo, dare il nome ai figli, ottenere il passaporto, lasciare la casa, avere un lavoro, andare a scuola, aprire un conto in banca, sposarsi... vietato, a meno che il marito o il padre non diano il permesso. Uomini, costretti a far da cane da guardia alle loro donne per sentirsi vivi, e che della vita dispongono, come nel caso del gruppo fondamentalista palestinese Righteous swords of Islam, vicino ad al Qaeda, che ha minacciato le giornaliste senza velo in tv di distruggere le loro case, far saltare per aria il posto di lavoro, e, se necessario, decapitarle e/o sgozzarle «per salvare lo spirito e la morale del nostro paese».
E via con una serie di incontri e di esperienze dirette con militanti, intellettuali, artiste, tutte sotto il fuoco del fanatismo, intrappolate nella Umma, la comunità islamica, che veglia sulla fedeltà a presunti principi religiosi. Giuliana, che martedì 4 marzo ricorderà con noi la sua liberazione dal sequestro funestato dalla morte di Nicola Calipari, non ci dà tregua nel suo racconto avvincente che ci conduce dalle «spose bambine» ai «suicidi d'onore», alle lapidazioni, alla poligamia, alle ragazze-kamikaze ma anche alle case-rifugio, la rete di protezione per le perseguitate e agli «istituti di bellezza», gli hammam (bagni turchi), oasi misteriose e spesso proibite, dove sogni e parole si confondono con i vapori profumati.
Un mondo a parte che si dispiega nelle pagine del libro, guida alla conoscenza di qualcosa di travolgente, dove la violenza ma anche la tecnica persuasiva del telepredicatori islamici viola ogni giorno non l'«altra», ma ognuno di noi. E che dall'integralismo islamico si propaga a ogni integralismo, a ogni forma di machismo, presente ovunque. Di sharia ce ne sono tante e le parole del Prezzo del velo toccano anche chi crede di essere immune dalla narrazione di una infelicità impensabile.
La Convenzione delle Nazioni unite, conclude il libro, è stata ratificata dalla maggior parte dei paesi musulmani, ma con «riserva», vale a dire che il principio di uguaglianza tra i sessi è sottoposta alla legislazione nazionale che, paradossalmente, fa appello alla «differenza di genere» per violare i trattati internazionali. Ma quei «visi pallidi» prima o poi prenderanno il sole e il sipario che nega l'esistenza delle donne sarà strappato.
(il manifesto, 1.3.08)
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