20.3.08

 

In Italia la precarietà è donna


Condizioni peggiori rispetto ai ragazzi per le under 24, per le “sorelle maggiori”. Male anche le over 45. A distanza di un anno solo poco più di una su dieci arriva a un contratto stabile. Quasi tutte guadagnano meno di diecimila euro l’anno e poche diventano madre prima dei 34 anni. L’allarme lanciato dal Rapporto Ires Cgil. (Federico Pace)

Giovani ma anche meno giovani. Nella palude della precarietà ci finiscono soprattutto le donne. Tutte costrette a contratti instabili più di quanto non succeda ai loro colleghi uomini. Più della metà delle giovanissime occupate hanno un contratto atipico e lo stesso accade a quasi al 26 per cento delle “under 34”. Impieghi marginali e contratti di breve durata anche per le più adulte. Tutte con una probabilità inferiore a quella già bassa dei precari uomini di riuscire a trasformare il contratto atipico in un impiego stabile. A lanciare l’allarme della “precarietà rosa” è il Terzo Rapporto di Ires Cgil preparato dall’Osservatorio sul lavoro atipico e presentato oggi a Roma.

Le donne si ritrovano nella condizione di quell'atleta a cui, per colpa di ostacoli imposti solo a loro, non è data piena possibilità di vincere la corsa. Se mai viene concesso loro di correre. A loro viene riservata una durata contrattuale ancor più breve di quanto non succeda ai precari uomini. Il 76 per cento delle atipiche si ritrova con un contratto temporaneo inferiore ai dodici mesi mentre agli uomini succede a poco meno del settanta per cento dei casi.

L’elusività del lavoro stabile

La condizione precaria sembra essere per la componente femminile uno status ancora meno passeggero di quanto non sia già per i colleghi maschi. Si direbbe piuttosto una condizione permanente che per di più interessa quasi tutte le età. A una quota molto esigua di donne viene concessa la possibilità di potere accedere, dopo esperienze di lavoro discontinuo, a un contratto a tempo indeterminato. Ci riesce solo il 14 per cento di loro, mentre riesce lo stesso a un pur sempre troppo esiguo 20 per cento degli uomini con contratti a tempo determinato o di collaborazione.

Il part-time e l’inganno della flessibilità family friendly

Le donne poi si ritrovano a dover abitare lo spazio del tempo parziale non sempre per propria scelta. Rappresentano i tre quarti degli occupati part-time (dipendenti e parasubordinati), ma solo il 36 per cento si trova in questa condizione intenzionalmente. Il tempo parziale rappresenta un vantaggio semmai per le donne in età più avanzata dove il rientro sul mercato del lavoro diventa un modo per contribuire al reddito familiare. Per la gran parte però non sembra avvalorata l'ipotesi che il part-time sia uno strumento di conciliazione da accogliere senza remore. Gli autori dell’indagine mettono in guardia e affermano che è “legittimo chiedersi se il ricorso indiscriminato a forme contrattuali atipiche non rappresenti in realtà un fattore di svantaggio per le donne”.

Mestieri troppo atipici

La flessibilità che viene offerta alla donne sembra così determinare un “progressivo deterioramento dal punto di vista occupazionale, economico e sociale” della loro condizione. Hanno titoli più elevati ma lavorano meno e guadagnano meno. Svolgono professioni tecniche, attività impiegatizie poco qualificate e a carattere esclusivo. E per quanto riguarda le laureate che si ritrovano con un contratto di collaborazione, solo il 42 per cento di loro è occupata in attività scientifiche e di elevata specializzazione mentre succede lo stesso, a parità di titolo di studio, al 52 per cento degli uomini.

Il minore guadagno

Secondo i dati Inps, rielaborati dagli autori dell’Ires, a parità di durata contrattuale le donne si ritrovano ad avere un imponibile medio inferiore a quello degli uomini. Con una differenza che diventa crescente visto che mentre quelle degli uomini continuano a crescere nel tempo, per le donne le retribuzioni dopo i 44 sembrano non aumentare più. Complessivamente il 77,3 per cento delle atipiche ha un imponibile inferiore ai diecimila euro l’anno (vedi tabella).

La conciliazione difficile

Le condizioni non possono che avere così una ricaduta diretta sulle scelte di vita. Tra le giovani collaboratrici con un'età compresa tra 25 e 34 anni, sono madri meno del 19 per cento (vedi tabella) mentre le occupate della stessa età lo sono in una percentuale molto più elevata (il 31 per cento). La maternità e la collaborazione sembrano condizioni difficilmente conciliabili. E i figli trovano spazio solo in età più avanzata quando diventa maggiore l'autonomia in termini di sede e di orario di lavoro.

TABELLA: L'imponibile per sesso

CONDIZIONE FAMILIARE:Con figli e senza

INSTABILITA’:Per genere e per età

(Repubblica.it, 20.3.08)

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"La donna libera dall’uomo, tutti e due liberi dal Capitale"

(Camilla Ravera - L’Ordine Nuovo, 1921)

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